Durante le pause di registrazione di Salò o le 120 giornate di Sodoma, e di Novecento, le rispettive troupe di Pasolini e Bertolucci giocavano a calcetto. Il 16 marzo 1975 si organizzarono per bene: i “capelloni” di Pasolini indossarono la divisa del Bologna, i “ragazzi di strada” di Bertolucci una d’occasione ideata dalla costumista, con tanto di calzettoni psichedelici per distrarre gli avversari. È proprio questa partita il tema principale del documentario Centoventi contro Novecento di Alessandro Scillitani e Alessandro di Nuzzo (2019), sfruttato come punto di partenza per trattare due tra le personalità più preziose dell’Italia del secondo ‘900. Era il 1975, anno in cui un polimorfe e brillante intellettuale italiano, intento a mettere in scena la metafora della violenza del fascismo attraverso il corpo, poteva girare a pochi km di distanza da un regista in piena creazione di una mappatura storica e antropologica dell’Emilia. Ma erano anche anni in cui bastava essere troppo curiosi o troppo preparati, per scomparire improvvisamente. Nove mesi dopo quel 16 marzo, infatti, Pasolini viene assassinato.

Un documentario che omaggia un maestro di complessità, in uno dei suoi dichiarati momenti di massima felicità.

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