di Redazione Ennesimo Film Festival
La sperimentazione di un metodo educativo mostruoso detta le regole di un microcosmo famigliare governato dalla figura del Padre, in complicità con la Madre, a danno dei tre figli, a cui è stato raccontato, da sempre, che è vietato uscire di casa fintanto che non siano caduti i denti canini. Un universo alienato in cui si perde e si snatura l’intento di protezione dei genitori, controllato dalla trasmissione errata del sapere ma soprattutto dal linguaggio, che per eliminare ogni curiosità dei ragazzi, reinventa il reale: il “mare” è il divano; il “telefono” la saliera; lo “zombie” un fiore giallo. Unico elemento di contaminazione con l’esterno, in questa gabbia che si autoalimenta, è Christina (solo personaggio con un nome), pagata per far sfogare le pulsioni sessuali del Fratello Maggiore. Sarà lei, senza volerlo, a introdurre un pacchetto di elementi di rottura (e coscienza) tra le mura inespugnabili della casa: “Lo squalo”, “Rocky” e “Flashdance”, in videocassetta.
Appartenente (se non fondatore) a quella che viene chiamata Greek Weired Wave, “Dogtooth” indaga crudelmente la relazione tra identità e contesto avvalendosi di tutti gli elementi che hanno reso iconico il cinema greco contemporaneo: l’asetticità, l’ambientazione minimalista e simmetrica, l’esasperazione angosciosa delle dinamiche umane, l’alienazione e il controllo ossessivo di un disordine che si fa unico ordine possibile. Tra i primi film dell’ormai noto Lanthimos e già vincitore del premio Un Certain Regard al Festival di Cannes nel 2009, sbarca, con undici anni di ritardo, nelle sale italiane, diventando così, un’occasione da non perdere (ma occhio agli spettatori più sensibili).