Chi ha detto che i vecchi film sono lenti e noiosi? Se c’è una caratteristica che spicca con prepotenza in “Il terzo uomo” di Carol Reed è il ritmo incalzante, ben equilibrato da momenti di pausa comunque ricchi di elementi determinanti all’economia del film. Tutto ruota attorno al mistero della morte di Harry Lime – interpretato da Orson Welles – e alle avventure del suo amico Holly Martins, giunto nella Vienna dell’immediato secondo dopoguerra, chiamato proprio dall’amico per un incarico di lavoro. Holly (diventato Alga nella versione italiana, ma originariamente Rollo nella sceneggiatura e nel romanzo di Graham Greene) non si darà pace finché non avrà scoperto cosa c’è davvero dietro la morte dell’amico, in una Vienna in cui scoprire la verità risulta quanto mai difficile, tra il mercato nero onnipresente e l’occupazione alleata che spezza la città in ben 5 parti distinte. Ma l’avvicinarsi alla verità porterà a galla sofferenze inaspettate per il nostro protagonista, che dalla cima di una ruota panoramica imparerà a vedere il mondo in un altro modo.

Rappresentate assoluto del cinema noir, ha fatto vincere la palma d’oro a Cannes al regista Carol Reed e l’Oscar alla migliore fotografia a Robert Krasker. E proprio la fotografia è assolutamente centrale nella pellicola: la Vienna in macerie è irresistibile e affascinante nelle poche luci e tante ombre in cui la ritraggono Reed e Krasker. Ogni inquadratura un capolavoro che contribuisce in modo determinante alla resa dell’atmosfera del film, insieme al cosiddetto “angolo olandese”, l’inquadratura inclinata che caratterizza tante delle scene, tagliando – letteralmente – il film in modo unico.

È la musica di una cetra ad accompagnarci dall’inizio alla fine, spezzando i toni cupi e dando un colpo di classe definitivo al lavoro di Reed e Greene – maestro di scrittura che lascia un’impronta indelebile.
“Il Terzo Uomo” è uno di quei vecchi film da recuperare assolutamente e di cui non ci si può non innamorare.

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